Dott. Enrico Ballor – Pneumologo Torino
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Scalare Cortisone dopo Terapia Infiammazione?

Lo Pneumologo Risponde” è la nuova rubrica di questo sito dedicata alle curiosità dei lettori.

La domanda di questa uscita è:

Come si scala il cortisone dopo una terapia antiinfiammatoria?

Domanda interessante che mi pone una paziente, evidentemente preoccupata di non eccedere nella velocità di sospensione della terapia cortisonica dopo un periodo di trattamento.

Ridurre il cortisone dopo un periodo in cui lo si è impiegato per risolvere l’infiammazione delle vie aeree presente in occasione di eventi infettivi o di malattie bronco-polmonari primitivamente infiammatorie, sembra talvolta un’operazione difficile proprio per la generale convinzione che, indipendentemente dal dosaggio e dalla durata della terapia, una sua troppo rapida sospensione potrebbe essere foriera di guai.

Si tenga conto del fatto che il cortisone rappresenta un ormone, sintetizzato quotidianamente dal cortico-surrene, che tutti noi produciamo in una quota maggiore in occasione di eventi fisici stressanti, quali eventi morbosi, traumi o stress emotivi prolungati nel tempo e che, proprio in virtù delle sue proprietà “anti-stress, aiuta il fisico a superare l’evento patologico.

E’ comune il ricorso al cortisone, infatti, in occasione di uno scompenso di un’asma bronchiale o nel trattamento di una BPCO riacutizzata, di una polmonite virale o batterica o di una malattia autoimmune che colpisca l’apparato respiratorio e, in tutte queste situazioni di malattia, il cortisone aiuta a risolvere più rapidamente il problema.

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Tuttavia, nel corso della somministrazione di cortisone “dall’esterno, cioè di una quota cortisonica non prodotta dai nostri surreni ma introdotta per uso terapeutico, la produzione surrenalica naturale si riduce fino ad azzerarsi in caso di terapie prolungate, ed è proprio questo il fenomeno al quale si deve prestare particolare attenzione quando si decide di interrompere una terapia cortisonica non più necessaria.

Una sospensione troppo rapida dello steroide (cortisone), infatti, lascerebbe per un certo tempo il fisico privo sia del cortisone fino a quel momento introdotto con la terapia, sia della naturale quota fisiologica prodotta dai surreni, per incapacità a sintetizzarlo in quantità adeguate dopo la soppressione della produzione nel periodo in cui esso veniva somministrato ad uso terapeutico.

Una sospensione lenta della quota introdotta a scopo terapeutico, invece, consente al surrene di riguadagnare progressivamente la sua capacità di sintesi dell’ormone e di riportare i livelli di cortisone naturale fino ad una quantità minima indispensabile, evitando di provocare una rischiosa condizione di iposurrenalismo acuto, spesso assai pericoloso.

Se ciò vale, naturalmente, per le terapie cortisoniche che si prolungano nel tempo, ancor più se mantenute con livelli elevati di farmaco, questo non riguarda le somministrazioni cortisoniche anche a dosaggio elevato ma per periodi di tempo limitato (qualche giorno) e appaiono spesso eccessivi i troppo rigorosi dimezzamenti del dosaggio cortisonico ai quali spesso si assiste e che, qualche volta, obbligano addirittura ad un’inutile prosecuzione del trattamento, per eccessivo rispetto della regola.

Sia chiaro, in ogni caso, che sarà sempre solo il medico a definire dosi, tempi e periodi più opportuni per scalare il cortisone, evitando sempre di lasciar gestire al paziente tali variabili.

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