Dott. Enrico Ballor – Pneumologo Torino
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Asma Bronchiale Allergico: quando Praticare le Prove Allergometriche nel Bambino e nell’Adulto

L’asma bronchiale allergico è una malattia respiratoria che negli ultimi anni, anche in virtù del sempre più importante inquinamento ambientale, ha assunto un’importanza enorme sia nella patologia del bambino, sia in quella dell’adulto, diventando una tra le malattie più facilmente riscontrabili nella popolazione.

La sempre maggior presenza di inquinanti (smog delle città) e di allergeni volatili naturali e industriali nell’aria urbana, ha determinato un progressivo incremento di bambini asmatici e di adulti broncoreattivi (vedi: iperreattività bronchiale aspecifica), con una sempre maggior necessità di inquadrare correttamente la diagnosi delle malattie allergiche della vie aeree e delle pollinosi, impostandone con efficacia prevenzione e cura.

A proposito dell’asma allergico, consiglierei di tener conto di quanto espongo di seguito, riferito sia agli aspetti diagnostici teorici della malattia asmatica allergica, sia a quelli più prettamente pratici e gestionali della stessa, specie se riferiti alla corretta scelta di tempi e modi per sottoporre se stessi ed i propri bimbi alle prove allergometriche con la massima efficacia.

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  • Quando si parla genericamente di “prove allergometriche”, “prove allergologiche”, “test allergologici”, sempre ci si riferisce ad una serie di esami proposti dall’allergologo utili a stabilire se quel particolare paziente asmatico è allergico ad una sostanza che ne sostenga il disturbo.
    Esistono a questo proposito due grandi gruppi di esami diagnostici allergologici: i test in “vivo” e i test “in vitro”, di cui parlerò più estesamente di seguito.
  • Test allergologici “in vivo”: per l’asmatico corrispondono sostanzialmente al test praticabile sulla cute attraverso la puntura della stessa in corrispondenza di una goccia di allergene posto preventivamente (Prick Test o Test Cutaneo).
    Esso sfrutta la capacità della cute di dare luogo al rilascio d’istamina in corrispondenza della zona punta, provocando un pompo (rigonfiamento arrossato e pruriginoso), nel caso in cui la cute sia sensibilizzata alla sostanza testata.
    Il risultato non è assoluto, in quanto la positività del test non significa in modo automatico che proprio quell’allergene sia responsabile dei sintomi dichiarati del paziente, ma tutto va poi ancora attentamente correlato dallo pneumologo con quanto dichiarato dal paziente a proposito di tempi, intensità e modalità di comparsa dei sintomi asmatici durante le crisi.
    Ricordo che l’asma non è una malattia della cute, ma dei bronchi!
    Pertanto si possono trovare pazienti con sensibilizzazioni allergiche della cute che non correlano con le dinamiche della loro asma, e sintomi asmatici bronchiali sicuramente allergici in pazienti in cui è assente una risposta cutanea positiva.
  • Test allergologici “in vitro”: sono prove allergologiche che si praticano con un prelievo di sangue.
    Esse dosano la quantità di anticorpi specifici dell’allergia (anticorpi IgE) prodotti dall’organismo della persona allergica contro una determinata sostanza (PRIST IgE totali e RAST IgE specifiche anti-allergeni inalanti e alimentari).
    Proprio in quanto l’incontro tra l’anticorpo IgE e l’allergene diviene responsabile delle manifestazioni allergiche del paziente, la presenza di elevate quantità nel sangue di uno specifico allergene diviene suggestivo per una elevata probabilità che lo stesso sia poi anche responsabile dei sintomi asmatici presentati dal paziente.
  • Uno tra i maggiori dubbi che i pazienti esprimono è relativo alla scelta del “ quando praticare le prove allergometriche”.
    Ciò dipende dal tipo di esame allergologico al quale ci si sottopone, in quanto alcune considerazioni pratiche meritano di essere fatte proprio in virtù di tale scelta.
    Per quanto riguarda i test “in vitro” non esiste praticamente una limitazione relativa al periodo più opportuno per sottoporsi all’esame, in quanto il tipo di risposta che l’esame è in grado di fornire è indipendente dalla terapia seguita dal paziente nel momento in cui decide si sottoporsi ad esso.
    Ben diversa è, invece, la situazione nel caso dei test “in vivo”.
    Essendo, infatti, gli stessi basati sulla possibilità di dimostrare il rilascio di istamina nella cute, nel caso in cui sia presente una  sensibilizzazione allergica, tutti i farmaci, e tra questi “in primis” gli antiistaminici” che inibiscono tale rilascio, rischiano di rendere falsamente negativo un PRICK TEST cutaneo che, se praticato in assenza di essi, potrebbe invece dimostrarsi positivo.
    La necessità di astenersi, tuttavia, dall’utilizzo di tali farmaci nel periodo in cui si sceglie di praticare l’esame, rende più difficoltoso il controllo dei sintomi, specie quelli della rinite allergica che spesso si accompagna alle condizioni asmatiche stagionali (pollinosi).
    Per questo motivo, per consentire al paziente di non privarsi dei vantaggi del controllo dei sintomi ottenuto con la cura, senza rischiare di privare di efficacia il test allergologico (PRICK TEST), sarebbe più opportuno praticare quest’ultimo al di fuori del periodo in cui sono presenti i sintomi.
  • Ricordo come fino a dopo i 4-5 anni di età la cute del bambino difficilmente sia già sensibilizzata agli allergeni, anche a quelli ai quali il bambino potrebbe essere realmente allergico.
    Praticando, quindi, prima di tale periodo, il test “in vivo” (PRICK TEST), si rischia di dimostrarne, anche in bimbi allergici, una negatività inutile e fuorviante per impostare poi correttamente il problema (falso negativo).
  • Poiché la risposta al test dipende strettamente dal tipo di allergene che si cerca, ma non tutti gli allergeni sono disponibili nei kit dei test predisposti dalla diagnostica standard (i potenziali allergeni sono migliaia, mentre quelli più comuni disponibili in commercio sono poche decine!), esistono situazioni in cui il comportamento clinico dell’asma orienta lo specialista pneumologo su di una natura allergica praticamente certa pur anche in assenza di una sicura dimostrabilità diagnostica dell’allergene responsabile (ad esempio: polline di pianta non così comune da giustificare la spesa industriale per allestire il test).
    La negatività dei test allergometrici praticati pertanto, potrebbe non escludere in senso assoluto la natura allergica del problema asmatico.
    Proprio in questi casi, quindi, l’esperienza clinica dello pneumologo aiuterà comunque a trovare una soluzione, gestendo il problema asmatico “clinicamente” allergico nel modo migliore.

Ricordo ancora che, se i punti sopra esposti vogliono rappresentare un momento culturale di corretta informazione, utile al paziente per meglio comprendere la propria asma, la scelta ultima relativa al test allergometrico più opportuno da praticare per giungere alla diagnosi (“in vivo” o in vitro”), va fatta dallo pneumologo e dall’allergologo che con esso collabora, ma non certo dal paziente, al quale consiglierei di fidarsi dei consigli di chi, con ben più esperienza della malattia rispetto alla sua, saprà consigliarlo al meglio.

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